Il dolore istruzioni per comprenderlo

Dolore è la parola più cliccata nei motori di ricerca di tutto il mondo, il dolore ci preoccupa e ci destabilizza e, nonostante sia un’esperienza molto comune nella vita quotidiana di ognuno di noi, quando ci capita di provarlo nella nostra testa si accende un campanello d’allarme che ci porta ad associarlo ad uno stato di malattia. In questo articolo proveremo a spiegare in modo semplice che il dolore non è sempre associato ad un danno e che ci sono diversi modi per aiutare il sistema nervoso a spegnere il dolore.

Iniziamo con la definizione proposta dall’International Association for The Study of Pain ( IASP ) :

Il dolore è un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata ad un danno reale o potenziale del tessuto, o descritta con riferimento a tale danno.” ( Turk e Ohfujii, 2001 ).

Prestate bene attenzione, è un’esperienza, quindi modificabile dalle nostre aspettative, dalle nostre convinzioni, dal contesto in cui viviamo; associata ad un danno reale( per esempio dopo un evento traumatico acuto ) ma anche potenziale senza che ci sia una reale correlazione con  esso.

Entriamo nel dettaglio.

In seguito ad un trauma, per rendere più comprensibile utilizzeremo l’esempio di una distorsione alla caviglia , il sistema nervoso risponde proteggendo la zona  interessata per facilitare il processo di guarigione del tessuto.

Si chiama fase acuta, nella quale il sistema immunitario e nervoso agiscono in sinergia per permettere una celere ed efficace guarigione.

Come si manifesta e quanto dura?

Si manifesta con edema, dolore, rossore, e con impotenza funzionale; nel caso della distorsione quindi avremo la caviglia gonfia, calda, dolente e non riusciremo ad appoggiare il piede durante il cammino. Questo implica un lavoro combinato del sistema immunitario che, tramite un maggiore afflusso sanguigno, cerca di ripulire il tessuto danneggiato e favorire la ricostruzione del tessuto sano; e del sistema nervoso che, tramite il dolore, protegge la caviglia da ulteriori potenziali danni.

Questa fase dura pochi giorni ( 0-72 h ) nelle quali l’organismo è impegnato a garantire una buona guarigione.

Come possiamo facilitare questo processo così importante?

Possiamo evitare di prendere farmaci anti-infiammatori e, se il dolore non è tollerabile, preferire i farmaci anti-dolorifici per non bloccare il processo infiammatorio in atto necessario per la guarigione del tessuto.

Possiamo rivolgerci al fisioterapista che, tramite un’accurata valutazione, potrà esaminare quali sono i movimenti che non provocano dolore e proporci degli esercizi in scarico ( esercizi che non vanno a caricare il tessuto danneggiato ) per aiutare il sistema nervoso a non associare dolore e movimento; potrà applicare il taping neuromuscolare per evitare la stasi dei liquidi; potrà promuovere esercizi di resistenza ad alta intensità in un altro distretto, per esempio degli arti superiori/ tronco nel caso di una distorsione alla caviglia, per mantenere il livello aerobico alto e facilitare l’inibizione del dolore da parte del sistema nervoso centrale tramite il rilascio degli ormoni neuro-protettivi come l’endorfine.

Alla fase acuta segue la fase proliferativa nella quale gli agenti dell’infiammazione portati nella zona della lesione dal sistema vascolare agiscono ripulendo il tessuto danneggiato e creandone uno più resistente; questa fase inizia quattro giorni dopo il trauma e, a seconda del tessuto coinvolto, può durare fino a sei settimane.

Segue infine la fase di rimodellamento, nella quale si compie una continua modificazione cellulare fino al raggiungimento della piena guarigione tessutale; questa fase inizia a tre settimane dal trauma e può durare fino a dodici mesi.

Molto importante nella fase proliferativa sarà l’intervento del fisioterapista: dovrà guidare la persona ad un recupero graduale del carico sul tessuto interessato:

con l’utilizzo di tecniche di terapia manuale recupererà l’allineamento articolare, con gli esercizi di controllo motorio specifici la capacità d’attivare correttamente il segmento corporeo interessato, con consigli d’ergonomia aiuterà a gestire il dolore e le difficoltà durante le attività della vita quotidiana, con esercizi di propriocezione e d’immaginazione corporea faciliterà il recupero dell’immagine corticale della zona colpita. Nella fase di rimodellamento seguirà un aumento progressivo del carico sui tessuti fino al completo recupero dell’attività di vita quotidiana e sportiva.

Questo processo di guarigione è un esempio di neuroplasticità adattativa, il sistema nervoso adatta le sue risposte avendo come obiettivo la protezione e in seguito il ripristino della fisiologia del distretto interessato dalla lesione.

Quando una risposta adattativa si trasforma in risposta maladattattiva e il dolore persiste?

Quando la protezione diventa troppa protezione, il movimento viene inibito e la modulazione del dolore si riduce: uno stimolo che in precedenza veniva interpretato dal sistema nervoso come non significativo ora viene percepito come dolorifico.

Il cervello gioca un ruolo fondamentale nell’interpretazione del dolore.

Esiste una neuromatrice del dolore a livello encefalico attraverso la quale il cervello decodifica gli stimoli e invia una risposta ai tessuti attraverso il midollo spinale.

All’interno di questa neuromatrice ci sono zone del cervello preposte al controllo non solo del dolore ma anche di altri aspetti fondamentali: il sistema limbico controlla le emozioni e la capacità di gestire la paura, la corteccia pre-frontale insieme alla corteccia cingolata anteriore forniscono una valutazione cognitiva del dolore e sono coinvolte nella presa di decisione, l’ippocampo dove viene conservata la memoria dell’esperienza, la corteccia somatosensoriale I e II dove viene analizzata la percezione ( dove sento e come lo sento ) e l’insula dove viene fatto un processo multisensoriale di introspezione che permette di definire come mi sento rispetto al dolore.

Le zone del cervello della neuromatrice comunicano tra di loro per definire la risposta da inviare alla periferia e tramite il talamo e il midollo rostro ventrale inviano neurotrasmettitori capaci di aumentare o inibire la risposta dolorosa.

Quindi cosa condiziona il dolore?

La memoria di altre esperienze dolorose, il tono dell’umore, le emozioni che il dolore ci suscita, la capacità di percezione corporea, il contesto in cui viviamo, il modo in cui interpretiamo il nostro vissuto e la capacità di prendere decisioni.

Anche lo stile di vita influenza il dolore: se il sonno non è buono, se lo stile di vita è sedentario ed è presente un’infiammazione sistemica di basso grado il cervello ha più difficoltà a inibire gli stimoli nocicettivi; durante il sonno c’è un’elevata attività neuroplastica protettiva per il cervello, l’attività sportiva ha un effetto ansiolitico e aiuta a dormire meglio contribuendo alla neuroplasticità adattativa, e l’alimentazione è strettamente correlata con la risposta infiammatoria.

Come possiamo aiutare il nostro corpo a gestire il dolore?

Attivando delle strategie in grado d’influenzare il nostro sistema nervoso, in grado di facilitare l’azione inibitoria del cervello rispetto agli stimoli dolorosi.

Entriamo nel dettaglio.

La percezione del nostro corpo e di come ci muoviamo nello spazio può essere fonte di dolore, per esempio se l’immagine corporea non è buona si crea un’incongruenza tra ciò che sento e ciò che faccio; in altro modo non avere percezione può portare a muoversi in modo alterato creando uno stress nei tessuti che a lungo andare può diventare sintomatico.

Se questa alterazione di movimento si protrae a lungo si crea un’alterazione della corteccia somatosensoriale che nella vita quotidiana può manifestarsi come:

  • sensazioni alterate ( gonfiore oppure restringimento della zona in cui si ha dolore ),
  • difficoltà nel sentirsi ( pensare di non essere dritti e esserlo ),
  • alterazione della sensibilità tattile e discriminativa,
  • alterata immagine corporea.

La percezione è coinvolta in numerosi stati di dolore persistente, come il mal di schiena, il dolore anteriore di ginocchio, e la sindrome da dolore regionale cronico ( CRPS ).

Il fisioterapista deve includere in questi casi un trattamento mirato ai disturbi percettivi e può farlo attraverso diverse tecniche:

  • training di discriminazione tattile,
  • l’utilizzo della mirrror therapy ( terapia dello specchio ),
  • combinare esercizi di controllo motorio con feedback percettivi visivi,
  • graded motor imagery ( allenamento di discriminazione della lateralità, destra sinistra e allenamento di immaginazione motoria ),
  • esercizi d’allenamento motorio mentale attraverso la visione di filmati di gesti funzionali quotidiani o sportivi a seconda del soggetto.

Questo tipo d’interventi è associato ad una riduzione a breve termine della sintomatologia e della disabilità nei casi in cui la percezione sia coinvolta nel processo d’elaborazione del dolore.

Come attività di mantenimento sono consigliate a chi ha difficoltà percettive lo yoga e il thai-chi, entrambe migliorano la consapevolezza corporea.

Ansia e stress sono probabilmente le problematiche più comuni dei nostri tempi ed è risaputo che influenzano il dolore.

Cosa fare?

Training autogeno, mindfulness, meditazione e ipnosi sono tutte tecniche indicate nella gestione dell’ansia e possono essere un valido aiuto nei casi di dolore persistente.

E per ultimo, non certo per importanza, l’attività fisica.

Sempre più ricerche mostrano come l’inattività sia uno “slow killer”, da cui dipendono molte delle problematiche croniche che affliggono la maggior parte della popolazione: malattie cardiovascolari, diabete, obesità, dolori muscolo-scheletrici, disturbi del sonno, solo per citarne alcune.

Se sto seduto 8 ore al giorno il corpo ha bisogno di 1ora al giorno d’esercizio per compensare all’inattività!!

Molteplici aspetti sono coinvolti nell’attività fisica:

  • flessibilità,
  • coordinazione,
  • articolarità,
  • reattività,
  • equilibrio,
  • velocità,
  • forza,
  • condizione generica,
  • agilità,
  • prontezza,
  • esplosività,
  • tecnica,
  • timing d’attivazione,
  • bilancio muscolare.

La variabilità che ci permette il nostro corpo è davvero straordinaria, la stiamo mettendo a frutto?

Le linee guida consigliano 75 minuti d’attività intensa due volte alla settimana e 150 minuti d’attività moderata alla settimana.

Il fisioterapista può guidare questo processo di cambiamento dall’inattività all’autonomia nella gestione della propria salute; tramite la presa di coscienza e la maturazione di una volontà di cambiamento, tramite la sperimentazione del benessere che si può ottenere con l’esercizio, attraverso un’alleanza che ha come obiettivo rendere il “paziente” il protagonista attivo della propria salute.

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